Che fine ha fatto l’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR)? Il progetto, annunciato 3 anni fa di un unico grande data center che avrebbe dovuto connettere entro la fine del 2016 tutti i comuni italiani – circa 8000 – sembra svanito. Lo denuncia il Movimento Difesa del Cittadino dopo l’audizione dell’ex direttore generale dell’Agenzia Nazionale per l’Italia Digitale, Alessandra Poggiani, dinanzi alla Commissione parlamentare di inchiesta sul livello di digitalizzazione e innovazione del Paese.
Ad oggi i comuni che avrebbero aderito al progetto dell’ ANPR sarebbero soltanto 26 su 8.000 e non sembra che altri enti abbiano intenzione di fornire questo servizio innovativo ai cittadini. Ogni comune ha una sua banca dati, quando ce l’ha – denuncia MDC – e utilizza un software diverso per gestire i servizi demografici. Le amministrazioni invece dovrebbero far confluire i propri dati nel grande data center dell’Anagrafe Unica Digitale, ma ci sarebbero forti contrasti anche sul software da utilizzare. Un vero caos per l’associazione, confermato dai pessimi dati dell’Istat sul livello di digitalizzazione delle nostre amministrazioni: solo nel 2,4% dei Comuni è possibile concludere per via telematica l’intero iter relativo alle richieste di certificazioni anagrafiche mentre il 20,3% dei servizi anagrafici e di stato civile dei comuni è ancora impegnato nel processo di informatizzazione in locale.
“L’ANPR rischia un flop epocale su cui bisogna interrogarsi rivedendo l’implementazione dell’Agenda Digitale Italiana – sottolinea Francesco Luongo Presidente Nazionale dell’associazione di consumatori – Un flop aggravato dallo spreco di soldi pubblici visto che risultano spesi circa 20 milioni di euro per la realizzazione dell’anagrafe “fantasma”. Un vero peccato visto che l’ANPR rappresenterebbe uno strumento utilissimo ai cittadini alle prese con una burocrazia asfissiante, ma anche utile al portafoglio, come avvenuto in Francia, dove l’accesso ai dati dell’anagrafe nazionale da parte delle imprese assicurative ha permesso di portare alla luce 5 miliardi di euro di “polizze dormienti” che non erano state liquidate ai beneficiari”.