La petizione rivolta ai supermercati epromossa da Il Fatto Alimentare per  non esporre in prossimità delle casse dolci, snack e caramelle ha superato le 9 mila adesioni  in 48 ore, ha raccolto alcune adesioni e  ha creato qualche disappunto.

Pubblichiamo la lettera spedita ieri da Mario Piccialuti direttore dell’Aidepi (Associazione  di categoria che riunisce i produttori di dolciumi e di pasta italiani) che critica l’ iniziativa.

 Gentile dr. la Pira, Le scrivo per esprimere il mio stuporenell’apprendere la notizia che una testata obiettiva e di approfondimento come “Il Fatto Alimentare” abbia lanciato una petizione contro una fascia di prodotti del mondo dolciario, o come tale viene presentata.

Senza entrare nel merito delle politiche di posizionamento a scaffale che ogni catena fa in relazione al proprio punto vendita, in primo luogo non posso non rilevare che additare come responsabili dell’obesità infantile delle tipologie di prodotto in particolare è al di fuori di ogni criterio di educazione alimentare: non esistono alimenti buoni e alimenti cattivi, questo è concetto oramai diffuso e ripetuto da tutta la comunità scientifico-nutrizionale.

In secondo luogo, la descrizione dei prodotti che Lei ha riportato nel testo della petizione “prodotti e snack generalmente ricchi di zuccheri, grassi, sale, conservanti e coloranti” e la dicitura “junk food”, mal si attagliano ai prodotti che le Aziende associate ad Aidepi, che Lei ben conosce, producono da anni, con altissimi livelli qualitativi e, in molti casi, senza zuccheri e grassi. Denigrare in questo modo prodotti che sono studiati attentamente e sui quali le Aziende investono notevolmente per renderli parte di una corretta dieta e di un equilibrato stile di vita, non si addice ad un giornalista informato come Lei.

Aggiungo infine che Aidepi ha sempre creduto e valorizzato il ruolo decisionale dei genitori nell’ambito dei comportamenti alimentari dei propri figli, a tal punto che, già dal 2007, le Aziende associate si sono impegnate a non vendere i propri prodotti all’interno dei distributori automatici posti nelle spazi delle scuole, proprio per dare al genitore la possibilità di un controllo consapevole di ciò che acquista o consuma il proprio figlio.

Con il termine “inaccettabile” definirei invece il fatto che i nostri bambini, come pure gli adulti, si muovano così poco, che le città in cui spesso vivono siano inadatte a sviluppare quell’essenziale momento di socialità che è il gioco all’aperto e che, contrariamente a quanto accade in altri Paesi europei, le politiche sociali non prevedano investimenti su attività fisica, movimento e corretta educazione alimentare.

Mario Piccialuti (direttore Aidepi -Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiana) – Roma 30 maggio


Ringrazio Aidepi,
 ma ritengo questa campagna assolutamente utile e forse l’unico modo per sollecitare i supermercati ad adottare una scelta doverosa. La parola inaccettabile non è casuale. Non riesco a trovare un altro modo per definire la politica delle catene catene quando espongono caramelle, snack e dolciumi  in prossimità delle casse per catturare l’attenzione dei bambini.

L’iniziativa è stata presa da Tesco in Inghilterra e questa catena  ha  più volte dimostrato  di saper cogliere  prima di altri  le aspettative dei consumatori. Basta ricordare  la posizione del no agli Ogm partita da Tesco che ha di fatto sancito il rifiuto degli Ogm nei prodotti alimentari in Europa.

La realtà è che i bambini italiani sono bombardati ogni giorno da centinaia di input e di messaggi pubblicitari  che li invitano a consumare questi prodotti e il supermercato diventa uno dei luoghi dove si compie l’atto di acquisto decisivo. Su questo concetto non dovrebbero esserci dubbi. Non le rispondo sulla questione del ruolo decisionale dei genitori e del poco movimento dei bambini, perché queste argomentazioni più volte ribadite dal fronte industriale sono deboli, superate e sin troppo banali.  Siamo fiduciosi di portare avanti una campagna difficile ma corretta e per questo continueremo.

Cordialmente

Fonte: Il Fatto alimentare