Editoriale Diritti&Consumi – Di Francesco Luongo, Presidente Nazionale
Il cliente che intende ricevere assistenza su un prodotto o un servizio dopo l’acquisto deve pagarla. Questo l’ultimo incredibile trend di mercato ai danni di milioni di consumatori italiani ed europei che radicatosi dal segmento elettrodomestici e trasporti ma che va estendendosi pericolosamente anche ad altri settori come le pay tv e la telefonia fissa e mobile. Proprio ad Aprile del 2016 le principali compagnie avevano proposto, d’intesa con alcune associazioni dei consumatori, una radicale revisione della Delibera AGCOM n. 79/09/CSP, sui servizi di assistenza, per superare il principio della gratuità.
Ancora una volta alcune aziende tentano di fare utili aggirando le fondamentali tutele previste dalla normativa comunitaria e dal Codice del Consumo con l’imposizione di una tariffa sull’esercizio dei diritti, come quello di segnalare un vizio, esercitare il ripensamento, inoltrare un reclamo o anche una semplice richiesta di informazioni. Il problema è che l’utilizzo di un numero telefonico a sovrapprezzo per i servizi di assistenza post-vendita equivale a far pagare al consumatore due volte un servizio che, in quanto tale, è compreso nel prezzo pagato dal cliente. L’art 64 del Codice, nel testo novellato dal D.lgs n. 21/14, stabilisce infatti che, qualora il professionista utilizzi una linea telefonica allo scopo di essere contattato dal consumatore in merito al contratto concluso non sarà tenuto a pagare più della tariffa base. Imporre una numerazione a pagamento per eventuali reclami o richieste di chiarimento rappresenta un evidente ostacolo oneroso e sproporzionato.
Sulla questione è intervenuta di recente la Corte di Giustizia UE con la Sentenza del 2 Marzo 2017 nella causa C-568/15 tra Zentrale zur Bekämpfung unlauteren Wettbewerbs Frankfurt am Main eV/ comtech GmbH chiarendo che: qualora il professionista utilizzi una linea telefonica allo scopo di essere contattato dal consumatore in merito al contratto concluso, quest’ultimo non è tenuto a pagare più della tariffa base che deve corrispondere al costo di una chiamata verso un numero fisso geografico o un cellulare standard. Secondo la Corte, la nozione di «tariffa di base» indica, nel linguaggio corrente, il costo di una chiamata standard. Sia il contesto in cui tale nozione è utilizzata nella Direttiva 2011/83/UE, sia la finalità di quest’ultima, vale a dire garantire un livello elevato di protezione dei consumatori, confermano che essa dev’essere intesa secondo tale senso abituale. Infatti, conclude la Corte, se i professionisti fossero autorizzati a fatturare tariffe superiori a quella di una comunicazione standard, i consumatori potrebbero essere dissuasi dall’utilizzare la linea telefonica di assistenza per ottenere informazioni relative al contratto o far valere i loro diritti. La decisione conferma ancora una volta quanto siano a rischio certezze che fino a pochi anni si riteneva scontati a livello nazionale e di acquis comunitario.
Per tutelare queste garanzie, ribadendo ancora una volta che i diritti dei consumatori vanno rispettati, non resta che attendere le decisioni dell’Antitrust sulle decine di segnalazioni presentate dal Movimento Difesa del Cittadino che, siamo certi, rimetteranno le cose in chiaro nell’interesse dei cittadini e di tutte le imprese che operano sul mercato eticamente e nel rispetto delle regole.