Discutere di sicurezza alimentare e tutela delle produzioni tipiche in questa nuova era economica che definiamo crisi rischia di apparire sempre più paradossale. L’Istat ha certificato un nuovo calo delle vendite al dettaglio n Italia del 2,8% rispetto a settembre 2012, con una flessione sugli alimentari del 2,2%. Aumentano invece le vendite dei cosiddetti “cibi low cost” nei discount alimentari con un incremento dell’1,4% nei primi nove mesi del 2013.
Ci troviamo di fronte ad una crisi dei consumi prima che finanziaria, con le famiglie che fanno economia sul cibo e le cosiddette “agromafie”, ormai veri e propri network criminali internazionali, che trovano terreno fertile per le proprie speculazioni sulla pelle dei consumatori.
Il cosiddeto “falso agroalimentare” ha un fatturato stimato in 14 miliardi di euro, con le nostre 261 produzioni Dop, Igp, Stg, vitivinicole ed il lattiero casearie letteralmente assediate, non solo dalla criminalità, ma anche dai competitor di altri paesi, multinazionali incluse. I numeri di questa guerra li ritroviamo tutti nei report del Corpo forestale dello Stato, NAF dei Carabinieli Guardia di Finanza, I.C.Q.R.F del Ministero politiche agricole, Agenzia delle Dogane e di tutti gli altri organismi nazionali e territoriali e che tentano di arginare l’attacco alle nostre tavole.
Certo la Legge n. 99/09 ha introdotto nel Codice Penale il reato di contraffazione di indicazioni geografiche e denominazioni protette con la reclusione fino a 2 anni e multe per 50.000 euro, ma questa, come altre norme vigenti ( tra tutte l’art. 5 della L. 283/62 sulle frodi in commercio) risultano obiettivamente insuficienti a scoraggiare le frodi.
Significativo un dato fornito dal Capo del Corpo Forestale dello Stato Cesare Patrone nell’ambito dell’iniziativa: “Vero o Falso come difendersi dalle agropiraterie per un Natale di qualità”: le ispezioni svolte nel corso di quest’anno hanno portato ad un aumento del 38% dei reati contestati nello scorso anno.
Non si tratta quindi di vedersela con la sola criminalità più o meno organizzata, l’Italia e le sue produzioni d’eccellenza sono al centro di un conflitto commerciale globale. La ragione è semplice. Il nostro prodotto vende ed anche tanto, troppo per molti concorrenti esteri spalleggiati anche da qualche Governo. Il nostro Paese è tra i primi in europa detenendo una quota del commercio mondiale nell’export agroalimentare pari al 3,5%.
I soli prodotti tipici fruttano almeno 24 miliardi di euro in termini di vendite, con la domanda proveninente dai mercati russi, cinesi e degli emergenti che sembrano una fonte inesauribile ed incontenibile di domanda dei nostri cibi e vini.
Sullo sfondo di questa guerra senza esclusione di colpi, anche mediatici, per sottrarre quote di mercato alla nostre produzioni ci sono il consumatori stranieri ed italiani, confusi e allo stesso tempo vittime delle emergenze alimentari ormai sistemiche ai nuovi cicli produttivi.
Vino al metanolo, “mucca pazza” (mlattia diCreutzfeldt-Jakob), influenza aviaria ed altre tristi vicende, si frappongono periodicamente alla frode di turno, come quella della mozzarella blu, della passata di pomodoro con estratto cinese o dei frutti di bosco all’epatite.
Non ultimo, il nuovo incubo diossina nelle coltivazioni campane della non meglio definita “terra dei fuochi”, l’emergenza ambientale scaturita dall’interramento di tonnellate di rifiuti tossici provenienti dalle industrie del nord Italia, sotto gli occhi di tutti dagli anni 90 e di recente riscoperta dai media.
Lo stesso Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Napoli Donato Ceglie lo ha sottolineato nell’ambito di un recente convegno (“Sicurezza alimentare Imprese e consumatori a confronto” organizzato da frodialimentari.it) le regole ci sono al pari dei controlli delle forze dell’ordine, il vero gap è da ricercarsi nel sistema dei controlli amministrativi sul territorio nonchè sopratutto nel livello di consapevolezza dei cittadini di essere al centro di una nuovo genere di guerra commerciale.
Non bisogna dimenticare però che il consumatore di oggi è diverso dal passato. Più dinamico nelle scelte, maggiormente informato (o disinformato) soggetto com’è quotidianamente grazie alla rete ad un volume di informazioni inimmaginabile con i vecchi media. Un cittadino sensibile e mobilitabile attraverso un web sempre più “2.0”, sia dalle associazioni dei consumatori che in forme spontanee, come nel caso dei gruppi d’acquisto o dei Forconi a seconda dei contesti.
Un consumatore attivo dunque che non desidera ma pretende un giusto rapporto qualità prezzo degli alimenti da commisurare al proprio budget ed una informazione adeguata ed in tempo reale sulla loro salubrità. Non va sottovalutato che il 53% degli italiani usa regolarmente internet, così come gli oltre 10 milioni di connazionali che si collegano quotidianamente su Facebook, per non parlare degli altri social minori ma molto diffusi sopratutto sugli smartphone come ad esempio Twitter con i suoi 4.7 milioni di utenti.
Per contro il 37% della popolazione non accede alla rete , come rilevato nel recente studio “Italia connessa”, pubblicato da Telecom, necessitando di un sostegno e di una tutela specifica per conoscere in tempo l’ emergenze ed i rimedi del mercato agroalimentare con le sue caratteristiche “allerte rapide”.
C’è bisogno in conclusione di difendere le nostre produzioni a livello intergovernativo e normativo internazionale in modo deciso, promuovere l’apllicazione della responsabilità penale dell’impresa sulle frodi (D.lgs 231/01 Art.25 bis 1) ma anche di rivoltare la macchina amministrativa dei controlli territoriali (AA.SS.LL. Servizi di Igiene Pubblica, Servizi Veterinari, Osservatori Fitosanitari Regionali, Servizi di Repressione Frodi in materia vitivinicola, Ispettori Annonari, Vigili Sanitari) investendo sul livello di difesa principale che resta la consapevolezza di chi acquista.
Un percorso sicuramente complesso, ma che va intrapreso senza lasciare indietro nessuno non le imprese e, di sicuro, non il consumatore.
a cura di Francesco Luongo